domenica 6 maggio 2007

Prima

La primavera era arrivata tardi, era già maggio inoltrato e i fiori ai lati delle strade avevano l'aria stanca di chi non ha più voglia di aspettare. Ma quel giorno il sole scaldava di nuovo un mondo intirizzito e grigio, e le lucertole affollavano i muretti diroccati della città vecchia alla ricerca della luce.
Come ogni anno nel corso dell'ultimo secolo, i meteorologi avevano decretato che entro quindici anni al massimo il surriscaldamento della terra avrebbe portato all'innalzamento del livello del mare, alla nuova era glaciale e all'estinzione del genere umano. Non che non fosse vero, Piazza San Marco era sott'acqua già da un po' e gli orsi polari si potevano vedere solo negli zoo, perchè al posto dell'Artide ormai c'era una granita instabile in cui restavano impigliati i cadaveri delle foche.
Eppure, l'umanità era ancora in piedi, e si dedicava con più zelo che mai ai suoi passatempi preferiti: la Cina aveva rosicchiato alla Russia un altro pezzo di terra per i suoi abitanti in sovraffollamento, gli Stati Uniti testavano in Colombia le nuove armi al mercurio e a Melbourne era appena stata scoperta l'ennesima setta che si dedicava alla mutilazione rituale dei bambini. Tutto come sempre. Quel giorno il sole splendeva, e nulla lasciava presagire che l'indomani non ci sarebbe stata alcuna terra sotto i piedi dei cinesi, né che la parola "bambino" non avrebbe più avuto alcun significato.
Si iniziò a capire che qualcosa non andava quando il telegiornale dell'una annunciò che sul Mediterraneo si era scatenato di punto in bianco un uragano. Non un temporale, un vero e proprio uragano, che imperversava dalla Spagna alla Siria: era iniziato tutto con delle nubi che si erano create nei pressi della Sicilia, e si erano ingrossate letteralmente a vista d'occhio fino a ricoprire interamente l'Antico Mare. A quel punto si era alzato il vento, un vento gelido e imprevedibile, arrivava da tutte le direzioni e portava con la pioggia, e sembrava che per quanto piovesse le nubi non si riducessero mai, anzi, s'ingrossavano ancora. Alle nove del mattino il Mediterraneo era assolato ed invitante, a mezzogiorno le carcasse dei pescherecci roteavano come lancette di una bussola impazzita in mezzo ad un mare infernale.
Tuttavia un certo numero di stranezze meteorologiche erano considerate ormai abituali, e nessuno si soffermò a pensare che non era scientificamente verosimile che il Mediterraneo intero fosse in preda ad un uragano nato dal nulla.
Intorno alle tre meno un quarto un'edizione straordinaria della CNN annunciava con malcelata inquietudine che l'Europa intera era colpita dallo stesso fenomeno: le poche telecamere ancora funzionanti mostravano il Vecchio Continente in balia dei vortici che avevano devastato il mare, e un'immagine ripresa dal satellite che sorvegliava quella parte di mondo testimoniava che un'unica nuvola color grigio piombo si estendeva già dalle Azzorre all'India, e lambiva a Nord l'Islanda e a Sud il centro dell'Africa, da cui non arrivava più alcuna immagine a causa dell'isolamento stretto a cui il Continente Nero era stato sottoposto in seguito all'epidemia di febbre emorragica di sei anni prima. I pochi sopravvissuti, centomila persone o poco più, stavano dal primo all'ultimo a bocca aperta di fronte allo spettacolo di morte che si abbatteva sulla terra già straziata: gli alberi, gli animali, i mobili, le case, l'acqua dei fiumi, la sabbia e i sassi si alzavano da terra uno per uno, e vorticavano nell'aria come per sfidare la gravità. Alcuni ebbero lo spirito di avvedersi con terrore che i vortici evitavano accuratamente le persone, tutte le persone, che avevano così modo di assistere quasi industurbate alla fine del mondo.
Alle quattro e mezza una giornalista in collegamento da Los Angeles comunicava atterrita che risultava impossibile mettersi in collegamento con Pechino, e che dalla prefettura di Fukue, la più occidentale del Giappone, si iniziava ad intravvedere una coltre plumbea che si approssimava alla costa con una rapidità allarmante. L'umanità stava morendo di panico: uomini e donne scappavano urlando in tutte le direzioni, c'era chi si strappava i capelli e chi rideva contro il vento, e naturalmente c'erano i razziatori, che approfittavano della follia generalizzata per rubare tutto ciò che capitava a tiro, ubriacarsi con i liquori abbandonati nei bar deserti e sfogare il loro terrore sulle vetrine ancora intere o contro le persone che scappavano.
Tra le cinque e le sei la nube circondò il Pacifico, e chilometro dopo chilometro lo occupò tutto quanto, risucchiando verso l'alto l'acqua, i relitti di secoli e secoli di navigazione, i pesci attoniti e le alghe che avevano vissuto sul fondo del mare da sempre, senza sapere che esistesse un luogo in cui non c'era l'acqua.
I cittadini di Honolulu e delle isole vicine videro approssimarsi la fine del mondo su due fronti, che portavano con tutto ciò che avevano raccolto nel resto del mondo. Molti di loro si sedettero con i propri figli sulla riva del mare ad attenderla, capendo che non sarebbero sfuggiti a ciò che aveva inghiottito il pianeta terra; alcuni si rifugiarono nelle chiese, dove si gettarono in terra pregando per l'assoluzione dei loro peccati, altri ancora, in preda ad un terrore innominabile, puntarono le proprie armi contro se stessi, evitando così a modo loro di assistere alla conclusione della vita.
Ciò che tutti videro quando furono sommersi dalla nube fu ancora più sconvolgente di qualsiasi disastro naturale: il vento che annunciava la fine sfiorava appena la pelle degli umani, ma alzava da terra e faceva silenziosamente esplodere tutto il resto: era come se la struttura molecolare degli oggetti, degli animali e della materia tutta si fosse improvvisamente decisa a mutare, per dar forma ad un'unica sostanza mista, organica ed inorganica, che circondava come il Maelstrom l'umanità e ne decretava l'estrema pazzia.
Iniziata in un tiepido mattino siciliano, la Scomposizione terminò durante l'ultimo tramonto hawaiiano, consegnando il pianeta nelle possenti mani del Fato.

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